Il 4 dicembre 2011 esordiva sul canale inglese Channel 4 Black Mirror, serie antologica ideata, scritta e diretta da Charlie Brooker, giornalista, sceneggiatore e presentatore britannico.
Brooker da molti anni scrive (ancora, occasionalmente) su The Guardian, argomentando dal 2006 nella sua rubrica “Supposing…” di temi futuribili e futuristici e del loro impatto con la società odierna e di domani. Temi che ha trasposto nei 13 episodi che, ad oggi, compongono Black Mirror.
Dopo due stagioni da tre episodi ciascuna ed uno speciale natalizio andati in onda su Channel 4, Netflix ha acquisito i diritti di produzione e di distribuzione mondiale. Una terza stagione da sei episodi è stata presentata il 21 ottobre 2016 ed una quarta sarà disponibile nel tardo 2017 (ad oggi manca una data).
Di cosa parla Black Mirror? Per chi vi si approccia senza particolari nozioni, potrà destabilizzare il format antologico, in cui ogni puntata è una storia a sé stante, non collegata alle altre in alcun modo. La tecnologia è il focus principale di Black Mirror (il cui nome suggerisce gli schermi neri di pc e cellulari): i suoi effetti, le possibili conseguenze del suo abuso, i rischi connessi ad un cattivo utilizzo, sia da parte del singolo che della società.
Black Mirror non giudica, ma anzi cerca di essere in tal senso più didascalico e neutro possibile: ci capiterà, certo, di empatizzare con uno o l’altro dei protagonisti, ma sarà un’empatia negativa, dolorosa e straniante. Nessun personaggio è immediatamente classificabile e definibile, in quanto spesso il finale dell’episodio coincide con un capovolgimento di visione che vuole spiazzare e sorprendere, senza tuttavia cercare il colpo di scena ad ogni costo. Lo spettatore si troverà a dover mettere in discussione le sue credenze ed i suoi giudizi sulla storia, che invariabilmente racconterà di una qualche forma di sconfitta dell’uomo contro la tecnologia che lui stesso ha creato.
In Black Mirror nessuno vince: sono storie che, a vari livelli, hanno come protagonisti dei perdenti, e lo scotto che questi pagheranno è vario ma sempre doloroso. Persino dove la tecnologia potrà apparire benevola (3×04, San Junipero), questa in realtà sarà solo fredda, distaccata ed implacabile.
Ciò che scuote è che i mondi narrati da Charlie Brooker sono futuribili (Black Mirror è a tutti gli effetti una serie di fantascienza) ma, in molti casi, appena dietro l’angolo. La narrazione stuzzica in modo furbo e sapiente la parte “nerd” in ognuno di noi, mostrandoci come tutto ciò che oggi è normalità domani può guidarci in una forma aberrante di esistenza.
Condividere la propria vita sui social, registrare ciò che vediamo, vivere la politica sui media, utilizzare internet per le cose più diverse, dal commemorare una persona scomparsa all’offenderne una in vita: molte delle azioni che fanno parte della nostra quotidianità, per esperienza diretta o meno, sono i temi delle puntate di Black Mirror. Azioni portate all’estremo, il cui abuso provoca situazioni complesse, intricate e dal labile valore morale, in cui se da una parte non ci sono vincenti, dall’altra a nessuno può essere additata tutta la colpa: Black Mirror si muove in questa etica liquida, rapida ed adattabile come richiede la modernità del nostro tempo, giocando con le nostre percezioni e sensazioni fino a ribaltarle completamente, svuotandoci e poi nuovamente riempendoci di qualcosa di inaspettato.
La paura del futuro che Black Mirror ci vuole suggerire non è una condanna della tecnologia: come detto lo show non giudica, si limita ad avvertirci, ci ricorda che “può succedere, un giorno lontano o anche domani”. Non è del resto mistero che più di uno dei temi trattati dalla serie sia poi divenuto “reale”, quasi come se fosse stato predetto dall’episodio in questione: Brooker ci appare quindi un lungimirante narratore di mondi paralleli, in cui è già avvenuto ciò che da noi sta per accadere.
Ma, come spesso accade, non è tutto oro quello che luccica: Brooker ha un grosso debito con “The Twilight Zone” (in italiano Ai confini della Realtà), che ha più volte ammesso di ammirare e di aver preso ad esempio per la natura antologica e per le tematiche futuristiche di Black Mirror.
In merito va fatta una riflessione: The Twilight Zone è un monumento della fantascienza seriale, il cui inizio risale al 1959, quasi 60 anni fa. Se per gli appassionati del genere è obbligatorio averlo visto (o recuperarlo), i più attenti noteranno come Black Mirror non ne riprenda solo la struttura formale, ma anche artifici che ne sono marchio di fabbrica, come gli “switching endings”, i già citati finali che capovolgono l’ottica dello spettatore. Se ovviamente non si può parlare di plagio, l’aderenza è molto netta. Inoltre i nomi collegati a The Twilight Zone sono alcuni dei numi tutelari della fantascienza: Rod Serling (sceneggiatore de “Il Pianeta delle Scimmie”), Richard Matheson (autore di “Io sono Leggenda”, opera da cui provengono i vari film) e Ray Bradbury (Fahrenheit 451 e Cronache marziane, due delle opere che innovarono la fantascienza) crearono un unicum di valore assoluto. Inevitabile che al confronto Brooker scompaia, e Black Mirror appaia una rilettura quasi ordinaria dell’opera di questi visionari dello scorso secolo.
Inoltre 60 anni fa le tematiche di The Twilight Zone erano sconvolgenti poiché prospettavano incontri con una tecnologia ed un futuro praticamente sconosciuti, in un mondo da poco in ripresa dopo le devastazioni della Seconda Guerra Mondiale. Oggi invece siamo più smaliziati, maneggiamo il progresso (o comunque crediamo di saperlo fare) con disinvoltura e, sebbene spaventose, le visioni di Black Mirror non ci fanno sobbalzare dalla sedia, semmai ci fanno dire “ci avevo pensato anch’io!”.
Di Black Mirror, in finale, è molto apprezzabile lo stile asciutto, diretto e psicologicamente violento, cui va aggiunto un ottimo comparto tecnico (si notano i maggiori mezzi di Netflix rispetto a Channel 4, sebbene a molti la terza stagione piaccia meno delle altre) ed una promozione veramente ben fatta e pensata per creare una forte attesa negli spettatori.
Non è la serie perfetta, ma quella che meglio incarna il nostro momento storico.
PS: una particolare raccomandazione è relativa alla modalità di visione: mancando una trama unica tra le puntate, e viste le tematiche non semplicissime, il binge-watching (visione compulsiva di un episodio dopo l’altro) non è consigliato. La fruizione ideale è quella di una puntata al giorno.