“Please Like Me” è una serie televisiva australiana creata dal comico Josh Thomas, (che guarda caso è anche l’attore protagonista). E’ andata in onda nel 2013 sul canale ABC2, giunta nel catalogo di Netflix soltanto nel 2016.
Racconta la vita di un ventenne, forse anomalo, un puntino nero in mezzo a mille pecore bianche, ma molto più probabilmente uno dei tanti. Josh ha una voce stridula, un caschetto biondo con una frangetta che incornicia appena un viso poco affascinante, di un ragazzino dalle sembianze di un 40enne. E’ logorroico, cinico, emotivamente glaciale ed instabile, eppure altrettanto fragile. Il ragazzo incarna, sin dalla prima puntata, tutti gli stereotipi dell’omosessualità, così che quando, all’inizio del plot, Claire gli comunica dinnanzi ad un delizioso dolcetto di compleanno il suo vero orientamento sessuale, ci sembra di essere al the Truman show.
“Davvero vogliono farci credere nessuno sapesse che il ragazzo è gay?”.
La banalità, a tratti demenziale, della trama tracciata da Josh Thomas ci disorienta. Il comico regista dissemina la vita del biondino di amanti affascinanti, amici confusi, sesso meraviglioso, parenti folli e altrettanto comprensivi, delineando contemporaneamente un mondo LGBT senza censure e limitazioni di alcun tipo, e la sottile e fragile sfera di cristallo che racchiude il male del secolo: la depressione e le malattie psichiche.
Ma che cos’è realmente “Please Like Me”? E’ una richiesta che nasce dalle viscere di ogni essere umano, un bisogno; forse di primaria importanza, magari futile e trascurabile. Eppure Josh ci insegna a riabbracciare la nostra parte bambina, rimasta intrappolata e assopita in qualche angolo nascosto di noi, e la fa riemergere, più viva che mai. Se siete nati negli anni 80 sapete bene di cosa parlo: precarietà, dubbi e incertezze, una generazione del millennio, la mia, infangata nel bel mezzo della melma. Perchè non ascoltare i nostri bisogni… E chiedere? Please, like me, i’m not so bad.
La vita di Josh trascorre nella leggerezza e nella semplicità delle piccole cose, annacquata ogni tanto da tematiche “calde” e di un certo spessore, che fluiscono all’interno del suo microcosmo senza mai stonare. Sembra che tutto possa passare, “che sarà mai”, “I will be fine”.
Ma la grandezza della serie di Thomas sta proprio nell’umanità e concretezza dei suoi personaggi. Sono loro stessi ad essere autoironici, a non credere a ciò che dicono e pensano, delle volte addirittura sfiorando il limite dell’imbarazzo e della tenerezza.
Josh lo si può toccare con mano: è irresponsabile, dimostra immaturità e altrettanta grandezza d’animo nel prendersi a carico la malattia della mamma, per quanto questa realtà, difficile da digerire, lo spaventi a morte.
E vogliamo parlare di Claire (Caitlin Stasey)? Si, la bella ragazza, ex fidanzata del protagonista, che gli rivelerà, il giorno del suo ventesimo compleanno, il motivo per cui devono rompere. “Josh, tu sei gay!”. Non sa cos’è l’amore e viaggia a braccetto con il neo omosessuale, con cui mantiene un bellissimo rapporto, naufragando tra relazioni clandestine, tra cui quella con Tom, il migliore amico,e la paura folle di restare da sola.
Ed eccoci giunti a Tom (Thomas Ward), colui che incarna appieno il terrore lampante della solitudine. Svolge tutti i giorni un lavoro che non gli piace, sta con una ragazza che deve lasciare da anni che a stento sopporta, e si accontenta di un po’ di sesso scadente.
Ma non possiamo tralasciare la famiglia del biondino dalla voce stridula: la mamma, interpretata magistralmente da Debra Lawrance, è affetta da una grave depressione, e all’inizio del plot capiamo essere anche reduce da un tentativo di suicidio. E’ questa quotidianità fatta di incombenze che non vorremmo mai trovarci ad affrontare, che spingono Josh ad andare a vivere con lei, a crescere, costellando la nuova casa di abitudini rassicuranti e dolcetti da sfornare. E’ la semplice quotidianità che gli permette di andare avanti e di continuare a circondarsi di persone strampalate, dalle quali non vuole assolutamente sbarazzarsi.
“Please Like Me” offre ottimi spunti di riflessione su una realtà cruda che ci ritroviamo ad affrontare tutti i giorni, mettendo in campo dei personaggi che scelgono di riconoscersi, di discutere apertamente delle loro vulnerabilità ed insicurezze, pur avendo il cocente terrore di apparire fragili agli occhi del mondo. Non esiste un buono o un cattivo ma un’umanità viva e palpabile, che spesso antepone i propri interessi ai bisogni degli altri, che soffre la paura dell’ignoto ma che è troppo orgogliosa per ammetterlo. Josh è frutto di un papà pigro e svogliato e di una madre che non fa mistero delle canoniche fasi “up and down” della depressione; è spesso egoista e fatica ad affrontare le sue responsabilità.
Cosa vuol dire, a questo punto, sopravvivere impantanati nella generazione “millenium”? Nasciamo negli anni 80, inforniamo dolci, trasciniamo relazioni per la coda senza troppa convinzione, perchè si potrebbe anche amare, ma chi lo sa cosa sia l’amore. Ci trasferiamo in Germania alla ricerca di fortuna, o forse illudiamo prima noi stessi e poi gli altri, di poter trovare la nostra strada lontani dalla monotona quotidianità.
“Please Like Me” rappresenta il disagio della realtà quotidiane, del qui ed ora, di un’università trascinata ad oltranza e dei litigi poco convincenti a causa di una cena rubata.
E’ un piccolo gioiellino che fa da cornice ad una realtà più ampia, che a vederla con altri occhi non è possibile farlo: fa troppo male. La serie ci insegna ad osservare le cose più da vicino, a farci strada tra le pieghe dell’abitudine e scoprire le perle preziose, perchè si, qualcosa di grande, tra l’ordinario, ancora vi si nasconde. Ne è un esempio la meravigliosa amicizia, per altro reale, che lega Josh Thomas, il gay mingherlino, e Thomas Ward (Tom), il ciccione etero; ma lo è anche il ritratto sereno e altrettanto malinconico ma straordinariamente realistico della malattia mentale.
Perchè ciò che succede a Josh, nel corso di quattro stagioni, potrebbe succedere a chiunque e avere degli sviluppi completamente differenti e soggettivi.
Di una cosa sola siamo certi: comunque vada, “we will be fine”.
Elisa Bellino