“Mi chiamo Stefano Cucchi sono nato a Roma il 1 Ottobre 1978… mi dichiaro innocente per quanto riguarda lo spaccio, colpevole per la detenzione”

(Stefano Cucchi Aula Giudiziaria di Roma – Novembre 2009)

 

“Mentre recitavo avrei voluto urlare aiuto al posto di Cucchi ”

(Alessandro Borghi)

Il 12 Settembre 2018 esce su Netflix il film italiano “Sulla mia pelle”. La pellicola è stata presentata per la prima volta nella sezione “fuori concorso” al Festival di Venezia e racconta gli ultimi sette giorni di vita di Stefano Cucchi, morto nel 2009, dopo un arresto ed un breve periodo diviso tra carcere ed ospedale penitenziario. Alessandro Borghi è l’attore che interpreta il trentunenne Stefano, il regista è Alessio Cremonini, il film racconta un piccolo stralcio di vita di Stefano prima dell’arresto, per poi proseguire con il calvario e le sofferenze passate per sette lunghi giorni. Proprio questo è il nodo principale su cui si sofferma il regista: il suo Dolore, non la sua vita passata, i suoi progetti o le sue idee, ma quello che è stato fatto al suo corpo e soprattutto alla sua anima. La paura di dire la verità a chiunque, perfino ai propri genitori, è la vera protagonista del film. Quella paura che si accende negli occhi di Stefano in ogni istante, che cerca di uscire fuori da una voce flebile e sommessa, che fa fatica a urlare tutto lo strazio, il freddo ed il dolore, quel corpo mingherlino che si affievolisce piano piano, perché a stento si regge in piedi e non riesce a trovare pace. Il suo corpo, leso e contuso, glielo impedisce ma i suoi pensieri e le sue emozioni riescono ad arrivare fino al pubblico come un pugno nello stomaco, in maniera violenta ed improvvisa, e proprio quando pensi di avere capito tutto, arriva un dettaglio o una frase che ti sconvolge e ti fa sprofondare sempre più giù, nella sua immensa solitudine ed indifferenza da parte di chi lo avrebbe dovuto custodire. Lo spettatore è quindi catturato da un forte senso di irrealtà, ma anche di lucida consapevolezza delle ombre e dei difetti di questo ragazzo. Un altro focus molto importante per la narrazione del film è il rapporto che Stefano aveva con la sua famiglia, i genitori e la sorella Ilaria che hanno sempre lottato per aiutare Stefano a migliorarsi, ad avere fiducia nelle sue capacità e a rinascere dopo un periodo di profondo buio.

Lui era il ragazzo fragile da proteggere, da osservare con ansia mentre spiccava il volo e cercava di cambiare vita, era un figlio ed un fratello molto amato, con una famiglia unita che ha cercato di stargli accanto fino all’ultimo, nonostante la disillusione e la stanchezza. Anche Stefano è molto legato alla sua famiglia, spesso passa le giornate con i genitori e con la sorella, ha un rapporto disteso e piacevole, come se nulla potesse mai scalfire questo sentimento, come se non dovesse mai capitare loro nulla di brutto, perché l’amore protegge e salva. Stefano cerca di proteggerli a loro volta, fino ad arrivare al punto di non volere raccontare nulla di ciò che sta passando al padre quando lo incontra, l’unica cosa che gli chiede è un abbraccio. Forse durante quel piccolo abbraccio si è sentito protetto e a casa, ma anche in colpa per non essere riuscito ad evitare di sbagliare, per avere fatto scelte troppo dolorose da sopportare e difficili da risolvere, ma in quell’abbraccio c’è anche la sicurezza per Stefano di volerli difendere, forse da una brutta realtà che dura da 15 anni e da un dolore che stanca. Tutto quello che Stefano fa è sopportare in silenzio e per orgoglio, ma anche riflettere su se stesso, sulla sua vita e suoi suoi errori. Il film cerca quindi di esplorare tutte queste emozioni, senza giudicare, criticare o condannare nessuno, se non la violenza e l’indifferenza. Lo fa con estremo pudore ed equilibrio, senza sbandierare violenze o accuse gridate, ma cerca di raccontare una storia difficile e assurda, con epilogo ancora più assurdo, che si poteva evitare se si fosse stati meno ciechi o indifferenti. E’ proprio questo l’intento finale del regista, quello di suscitare nello spettatore un interesse, un ricordo ed un risveglio della morale e della coscienza, senza puntare il dito contro nessuno, se non contro il nostro stesso egoismo e la nostra indolenza verso ogni forma di ingiustizia.

Consiglio questo film a chi vuole conoscere meglio la figura di Stefano Cucchi, a chi non conosce affatto questa vicenda giudiziaria che ha scosso e sconvolto il nostro paese, a chi ha voglia di piangere dall’inizio alla fine, a chi pensa che le ingiustizie possono essere sconfitte, e che possa esistere un mondo migliore in cui vivere.

Glenda Marsala

 

Sulla mia pelle