Borg McEnroe
“Ogni match è una vita in miniatura”
1980, finale di Wimbledon, considerata una delle partite più belle della storia del tennis, vede contrapporsi la calma glaciale del tennista svedese Björn Borg, contro il temperamento impetuoso dello statunitense John McEnroe. I movimenti rigidi e monotoni del giocatore svedese apparentemente privo di emozioni, contro il gioco nevrotico e spettacolare dello statunitense, preda di frequenti attacchi d’ira gratuiti ai danni dei malcapitati spettatori e dell’arbitro di turno. La complessa contrapposizione tra due atleti non si esaurisce sul campo da tennis per via delle personalità opposte e degli stili diversi, rendendo il confronto ancora più serrato e avvincente, e proiettando i due campioni tra le stelle del firmamento sportivo. La loro rivalità, alimentata ad arte dal circo mediatico dell’epoca, ha appassionato i fans di quegli anni, proprio perché entrambi avevano personalità opposte. Borg ossessivamente disciplinato, ricco di emozioni represse, soffriva perché non riusciva a sopportare il peso della fama (fece infatti scalpore il suo ritiro dal tennis giocato a soli 26 anni), e McEnroe, decisamente più talentuoso e spettacolare, lottava per dimostrare che grazie al suo talento poteva essere il migliore, ma scalpitava per scrollarsi di dosso l’etichetta di fenomeno da baraccone. I due erano totalmente diversi in campo e fuori, ed entrambi possedevano un macigno psicologico enorme da superare, ma il film riesce a raccontare questa contrapposizione, e questa sofferenza interiore, in maniera egregia.
E’ sempre difficile realizzare un buon film sportivo e spesso sono rimasto deluso da altri di questo genere, ma da appassionato di questo sport, non posso far altro che constatare come il risultato finale sia fantastico. La ricostruzione fedelissima dei due tennisti, fisicamente identici agli originali, mi ha impressionato. L’attesa tipica al servizio di Borg, con il corpo ciondolante e le spalle incassate, il suo rovescio bimane e la camminata a capo chino tra un punto e l’altro, il servizio mancino anomalo di McEnroe e la sua tecnica particolarissima nel colpire la volèe di rovescio con tanto di saltello in avanti, i suoi tic nell’asciugarsi la fronte nervosamente con entrambe le spalle, ed ogni minimo particolare dei due tennisti in campo è stato realizzato meravigliosamente, merito del regista ma soprattutto dei due straordinari interpreti che si sono trasformati in perfetti tennisti professionisti. Incredibile la somiglianza anche di altri protagonisti come il padre di McEnroe, o l’allenatore di Borg, o di altri tennisti del circuito, come il simpaticissimo Gerulaitis, che rendono il film ancor più verosimile.
Oltre al realismo dei match, anche la struttura intera del film e la narrazione sono messe in scena con estrema intelligenza e attenzione. Il regista danese Janus Metz Pedersen riesce a mettere in scena uno dei match più importanti del secolo scorso sottolineandone l’importante significato metaforico, grazie ad una sceneggiatura estremamente accessibile anche a chi non mastica di tennis o non conosce la storia di quella finale, di quella rivalità.
Metz Pedersen, dunque, mette sotto i riflettori la vita e la psicologia di due personaggi agli antipodi con una sceneggiatura che non mostra crepe regalando drammaticità ed intrattenimento. Un piccolo capolavoro di montaggio visivo e sonoro, per un trionfo cinematografico emozionante dal primo all’ultimo minuto. Ma non è un film incentrato solo sul tennis, anzi è fatto di passione, coraggio, di tante altre emozioni, e alla fine della visione il regista ci fa sorgere un dubbio enorme. Un dubbio che gli appassionati estremi di tennis come me conoscono bene, cioè che per i due tennisti, appesantiti da maschere indossate per il divertimento del pubblico, il tennis fosse in fondo un esercizio privo di gioia. Ne sanno qualcosa molti altri tennisti famosi, come ad esempio Andrè Agassi che nella sua autobiografia “Open” ci racconta che “ogni partita di tennis è una vita in miniatura”, frase riportata nei titoli di testa dal regista Metz Pedersen che si adatta alla perfezione a quella spettacolare finale ricca di momenti positivi e capovolgimenti di situazioni clamorose per entrambi i tennisti.
VOTO 8.
Paolo Condurro