«Sono stato povero tutta la mia vita, come una malattia che passa di generazione in generazione. Ma non i miei ragazzi, non più.»
Toby Howard
Questa frase potrebbe essere l’incipit e la somma del puzzle umano che ci pone davanti questo film. Sofferenza, rivendicazione della propria dignità, sete di giustizia, ma soprattutto desolazione.
Hell or High Water è un film del 2016 del regista britannico David Mackenzie. In Italia distribuito in esclusiva da Netflix, è stato nominato come miglior film agli Oscar, Golden Globe, premio Bafta, ed è riuscito a conseguire altri premi minori grazie alla sapiente sceneggiatura di Taylor Sheridan, e alle brillanti interpretazioni, come attori non protagonisti, di Jeff Bridges e Ben Foster.
La storia, ambientata in Texas, parla di due fratelli (Chris Pine e Ben Foster) che cercano di riscattare il pignoramento, da parte di una banca, del ranch di famiglia, nel quale si trovano degli importanti giacimenti petroliferi. I due innescano una sorta di piano, attraverso piccole rapine in banca, per recuperare la somma da restituire e poter quindi saldare il debito. Sulle loro tracce però si metterà un esperto ranger (Jeff Bridges), che a pochi giorni dalla pensione, vorrà venire a capo in questo intricato caso.
Il film si presenta come un concetto poli-genere. Ci sono forti richiami alla narrazione western moderna (per citarne due con lo stesso Jeff Bridges, Il Grinta e Crazy Heart) e alla cultura country (Alabama Monroe, Non è un paese per vecchi); allo stile di vita da cowboy di frontiera, ma anche delle introspezioni attoriali degne delle migliori pellicole drammatiche. Il tutto condito da un’architettura thriller, che tenderà a far salire la suspense cinematografica in un climax ascendente che accompagnerà lo spettatore fin alle scene conclusive. La regia e le riprese esterne, lungo gli sterminati paesaggi desolati del Texas, sono spesso accompagnate dalla splendida colonna sonora country-blues di Nick Cave e Warren Ellis.
Dal punto di vista narrativo ci sono due forti punti cardine. Il primo è l’evidente dissonanza caratteriale e valoriale che rappresentano i due fratelli. Uno, Toby Howard (Chris Pine), disoccupato, divorziato, con l’aspirazione a voler estinguere il debito del ranch di famiglia per poter dare un futuro ai propri figli. Un personaggio introverso, riflessivo, misurato. L’altro, Tanner Howard (Ben Foster), un ex galeotto che si unisce al fratello, spinto da quella fiamma pazza e rovente che vive in lui. Uno stile di vita edonista e dissacrante, reso in maniera eccelsa dall’interpretazione di Ben Foster.
Il secondo punto cardine è il tema del riscatto economico e sociale, ai danni di quel sistema bancario che stritola la working class americana. Il tentativo di Toby Howard di restituire ai propri figli un futuro, passa obbligatoriamente da un compromesso criminale, lo stesso che infliggono ogni giorno degli uomini in giacca e cravatta mettendo alla porta intere famiglie con ristrette possibilità economiche.
In tutto questo susseguirsi di azioni, vigila lo sguardo saldo e malinconico del ranger interpretato da Jeff Bridges, ritagliato su misura per questo tipo di ruoli, immortalato da alcuni primi piani che ne rendono la sua straordinaria caratura artistica.
Piccole postille per chi volesse vederlo. Il film ha una narrazione abbastanza lenta, come andare a spasso per terre desertiche in sella ad un cavallo, tranne alcune piccole accelerazioni repentine in qualche scena di azione. Non è un blockbuster, è una pellicola introspettiva scandita dai paesaggi desolati del Texas, resi da una splendida fotografia e da un montaggio accurato ma non eccessivo. Si può sicuramente definire un film autoriale, per caratura ed interpretazioni.
Marco Burgio