C’è stato un lungo periodo, che va dalla fine degli anni ‘70 (in corrispondenza con la chiusura degli Anni di Piombo) ai primi anni ‘90, che ha portato all’attenzione pubblica la violenza efferata di cui la mafia è capace nei confronti delle istituzioni e delle figure che cercano di contrastarla. Tale stagione, culminata negli omicidi dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, è ben impressa nella mente di ogni siciliano nato negli anni ’70 e che ha vissuto da vicino le stragi, i regolamenti di conti per strada e la ferocia degli “uomini d’onore”.

Io e Pif (Pierfrancesco Diliberto) facciamo entrambi parte di questo gruppo di siciliani nati negli anni ’70, nella parte ovest dell’isola, quella più martoriata da Cosa Nostra. Entrambi abbiamo vissuto infanzia e adolescenza in un clima per certi versi irreale, fatto di una normalizzazione di eventi altrimenti terribili, in cui il male esiste ma non puoi mai davvero vederlo.

Pif, tuttavia, ha avuto la possibilità e la capacità di raccontare questo lungo periodo in un film che Netflix proporrà dal 29 marzo: La mafia uccide solo d’estate è la prima opera registica dell’ex Iena, preceduta dall’esperienza de Il Testimone per MTV. Dal programma Pif recupera il particolare stile narrativo, che articola la storia in un racconto in prima persona.

Per l’ora e mezza di visione, dunque, ci troveremo immedesimati in Arturo Giammarresi, il cui concepimento nello stesso giorno e luogo della strage di Viale Lazio a Palermo non può essere un caso: per tutta la sua vita Arturo mostrerà la capacità di percepire la presenza di un mafioso, e “mafia” sarà la prima parola che riuscirà a dire.
Arturo cresce cercando di convivere con questa abilità (che non mancherà di provocargli intuibili problemi) e una smisurata ammirazione per Giulio Andreotti, che Arturo elegge personale modello e nume tutelare, tanto da sceglierlo come travestimento per una festa di Carnevale con i compagni di scuola.

Andreotti è, nell’immaginario di Arturo, colui che riesce a consigliarlo per il meglio con Flora, di cui si innamora al primo sguardo fin da bambini, ma alla quale non riesce a dichiararsi. Flora ed Arturo incroceranno le loro vite con i fatti e le figure della mafia palermitana e con gli uomini che, troppo spesso abbandonati a se stessi, hanno sacrificato le loro vite per combatterla.

Pif mette in scena un racconto di formazione che forse solo un siciliano nato negli anni ’70 può capire fino in fondo, ma che nella sua delicatezza è comprensibile ed apprezzabile da chiunque. Lo stile è delicato e fonde ad un’amara ironia di fondo la brutale descrizione dei fatti. Arturo e Flora sono “testimoni” di una lunga e dolorosa presa di coscienza, da parte di una popolazione via via sempre meno incline ad accettare di chiudere gli occhi e girarsi dall’altra parte.

Raccontare la mafia non è mai impresa facile, per quanto siano innumerevoli i film e le serie televisive che la trattano: Pif lo fa in modo personale, intimistico e struggente. Il suo personaggio è naïf, sincero fino all’imbarazzo, radicato in valori di onestà che sembrano invariabilmente fuori stagione. Non è una figura “forte”, mostra cedimenti e riflessioni a volte anche ingenue ma mai stupide. Arturo è un puro, ma non “l’utile idiota”, come il Dante Ceccarini di Benigni che si lascia convincere che il problema di Palermo sia il traffico.

L’esordio alla regia di Pif è stato celebrato e premiato in ogni modo possibile: il film vanta tra i riconoscimenti due David di Donatello, due Nastri d’argento ed innumerevoli altre vittorie e nomination nei più famosi festival del cinema.
È un film da non dimenticare, da rivedere e far vedere a chi, per motivi anagrafici, non ha avuto modo di comprendere a fondo quegli anni. È una testimonianza delicata, a volte stralunata ma sempre rispettosa del dolore che gli eventi hanno provocato. L’ultima scena, in cui Pif ripercorre i “luoghi della memoria” della sua vita, è un viaggio nella memoria collettiva di Palermo e dei palermitani, ma anche un viatico della storia recente del nostro Paese, troppo spesso incapace di reagire in modo coeso e fermo alla violenza animalesca del Male.

Curiosità finali: Pif è stato l’assistente alla regia di Marco Tullio Giordana in I cento passi, film che racconta la vita di Peppino Impastato, ucciso dalla mafia nel 1978. Inoltre anche nel suo secondo film In guerra per amore il protagonista, da lui interpretato, si chiama Arturo Giammarresi e la storia tratteggia il rapporto tra la mafia e gli Stati Uniti alla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Valerio Mocata

La Mafia Uccide Solo d’Estate: un racconto vero
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