Neal Brennan decide di presentarsi a livello mondiale, laddove è uno semi sconosciuto, e per farlo sale su un palco, dietro a 3 Microfoni, davanti alle telecamere.

Neal prima di essere un signor artista (comico, sceneggiatore, “tuttofare ombra” di diversi show televisivi) è un Uomo, in tutta la sua fragilità, immensa forza, magnificenza.

Risultato già a 17 anni un caso di Depressione Clinica, quindi di quella reale in tutta la sua oscurità e non di quella posticcia che si millanta sui social per la chiusura di una serie tv, il ragazzo decide di non affogare impietrito in quel fiume torbido fatto di angosce, di non farsi inghiottire inerme in quel vortice fatale.

Così, come un guerriero, si arma di pazienza, olio di gomito, volontà derivata dall’istinto di sopravvivenza, e comincia a starnazzare gli arti contro la corrente che lo sta portando con sè, cerca disperatamente un tronco d’albero galleggiante od un qualunque appiglio lo possa trattenere in vita.

Terapie, droghe medicinali e ricreative, ricostruzione e costruzione di rapporti personali, sono la dimostrazione di quanto lui non si voglia arrendere alla propria situazione di malato: le dodici fatiche di Neal per non passare al livello di “caso umano”, tanto di moda nei programmi tv, la stessa tv che per un minimo lasso di tempo lo gratifica dandogli la sensazione di essere forte come Ercole.

Ma la strada è lunga e tortuosa per lui, nel migliore dei casi dovrà soffrire ancora parecchio prima di liberarsi, guarirsi, e vivere senza quell’avvoltoio sulla schiena quale è la Depressione.

Una depressione alla quale sembra voler infliggere un colpo fatale mettendo in scena uno spettacolo innovativo, a mia visione “curativo”: una sorta di gruppo di sostegno dove condividere con il pubblico la sua emotività fragilissima.

Spiegando a modo suo, con battute geniali e confessioni drammatiche, quello che per lui sia la derivazione della malattia, senza svicolare vigliaccamente, raccontando del suo rapporto complicato con il padre.

Il fulcro di uno dei 3 Microfoni gira tutto attorno ad un racconto emotivo, toccante, sarcastico, devastante di quel che è l’epopea del nostro piccolo eroe, tanto somigliante, sia fisicamente che per comicità, ad un Woody Allen mentre analizza se stesso.

Un Microfono viene usato per battute veloci, freddure, scritte su cartoncini che tanto mi fanno tornare ai bei tempi del Letterman Show, sia per modalità, sia per genialità e ritmo tipico di quel David che mai mi rassegnerò a vederlo solamente una volta al mese sempre su questi schermi della grande N.

Il restante microfono dovrebbe essere il protagonista di uno show comico, visto che è il Mic in cui Neal si trasforma in mattatore da Stand Up Comedy, ma resta in secondo piano visto il grandissimo lavoro svolto con la parte Emotional.

Questa è la prima Stand Up Dramedy che io abbia avuto il piacere di definire tale: Brennan è una trasposizione reale di Bojack Horseman, in tutta la sua profondità, ironia, dannazione.

Tutto ciò non significa che non si rida, anzi, le parti comiche sono affilatissime, e toccano tantissimi temi: dal controllo delle armi piaga a stelle e strisce, passando per la religione, toccando la sessualità fino a trovare una sua personale soluzione al becero razzismo.

Uno spettacolo totale, completo, perfetto.

Una dichiarazione di intenti alla Vita, un togliersi un mattone dalle scarpe, un volere abbracciare e consigliare chi soffre in silenzio la sua stessa problematica: più di uno show, una seduta terapeutica bilaterale, per lui stesso e per chi decide di passare un’ora di tempo in sua compagnia.

“A volte il mondo ti può sembrare come una stanza che si riempie d’acqua.

Per me, riuscire a pensare ad una battuta è come una bolla d’aria.”

 

Alan Pagno Gardini

 

Neal Brennan – 3 Mics – Recensione standup comedy
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