Nell’introdurre la serie ed il personaggio di Ray Donovan (Liev Schreiber), ritengo sia un fondamentale presupposto il definire la professione di fixer e cleaner. Figure spesso presenti nel filone cinematografico di genere Crime e Poliziesco. Il cleaner si occupa di ripulire una scena del crimine per cancellare o limitare le conseguenze di un atto doloso; ne esiste anche una versione legittima: ditte specializzate nella rimozione di rifiuti e bonifica delle scene del crimine. Il fixer svolge un ruolo abbastanza simile e spesso si avvale della collaborazione del cleaner; ha il compito di ridurre al minimo, o eliminare completamente, la cattiva pubblicità per funzionari pubblici o VIP, vittime delle loro cattive abitudini o di comportamenti poco ortodossi.
Alcuni esempi di tali attività nel mondo del cinema/serie tv: Jean Reno in Nikita (1990), Harvey Keitel in Nome in codice: Nina (1993) e l’anno seguente come Mr. Wolf in Pulp Fiction, George Clooney in Michael Clayton (2007). Nel campo delle serie tv, cito in primis Mike Ehrmantraut di Breaking Bad, Zoe Morgan da Person of Interest,  Susan Blommaert in The Blacklist e, naturalmente, Ray Donovan.

Ray Donovan è un crime-drama ideato da Ann Biderman (Schegge di paura, Copycat – Omicidi in serie, Southland), prodotto da Showtime ed approdato in Italia grazie a Netflix. L’autrice, nonostante l’età, è riuscita nell’intento di creare un prodotto giovane che riesce a distinguersi per essere intelligente, nonostante appaia ruvido e ricco di testosterone. 

La serie, non perdendosi in preamboli, mette subito in piazza l’ impegno e la dedizione di Ray verso la sua complessa e spesso brutale professione: la scena con la mazza da baseball descrive perfettamente lo stile Donovan del suo servizio, offerto principalmente a celebrità di Hollywood con problemi ingestibili attraverso i canali regolari. L’abnegazione verso l’attività di fixer soddisfa il suo status di uomo freddo, calmo, concentrato. Tanto capace nel lavoro quanto in difficoltà nel gestire i conseguenti attriti con la famiglia, sua moglie Abby (Paula Malcomsoned i figli Bridget (Kerris Dorsey) e Connor (Devon Bagby). Questo è solo l’antipasto ed il contorno, il piatto forte è rappresentato dai variegati fratelli di Ray e dalla tormentata relazione con l’eccentrico padre Mickey (Jon Voight). 

 

I Donovans sono originari di South Boston, emigrati a Los Angeles per allontanarsi dagli intrighi di Mickey che, dopo aver trascorso gli ultimi 20 anni in prigione, ha deciso di riunirsi alla famiglia. Nonostante sia sulla settantina, Mickey è ancora un criminale in piena regola, la scheggia impazzita della famiglia Donovan, impegnato costantemente nel creare problemi od imbarcarsi in qualche avventura che costringerà Ray a dover correre ai ripari. Jon Voight è una garanzia, una figura artistica imponente, un peso massimo. Le scene in cui è presente calamitano l’attenzione, gratificano i sensi per la grande prova su schermo di un attore che meriterebbe uno spazio d’azione più ampio.

Gli altri componenti della famiglia Donovan sono i fratelli di Ray: Terry (Eddie Marsan), allenatore / proprietario di una palestra di boxe; Marsan cattura l’essenza di un uomo solo, in lotta, chiaramente depresso, abbandonato allo scorrere del tempo in un corpo malato e martoriato dalle glorie di una carriera lontana; Dash Mihok è Bunchy: di indole docile, impacciato, rimasto immaturo a causa di traumi giovanili. L’ultimo dei Donovan è  Daryll (Pooch Hall), irlandese nero e pugile wannabe, figlio di una delle tante avventure di Mickey.

Ann Biderman si ritrova a gestire una serie affascinante, una storia che funziona, adrenalinica, ricca di particolari ed avvalorata da un cast di prim’ordine. Uno spettacolo unico che merita di finire direttamente nella vostra lista.

 Daniele Orrù

Ray Donovan: the Bag or The Bat
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