“Nel XIX secolo si credeva che chi soffriva di malattie mentali fosse alienato dalla sua stessa natura. Gli esperti che li studiavano erano noti con il nome di alienisti.”
E’ questo l’incipit che leggiamo all’inizio di ogni episodio di The Alienist, serie tv sbarcata su Netflix, basata sul romanzo di Caleb Carr, ambientata alla fine del 1800 a New York.
L’azione inizia subito con il ritrovamento del corpo orrendamente mutilato di un adolescente che si prostituiva su di un ponte newyorkese, con conseguente notizia che arriva rapida al dottor Laszlo Keizler, appunto l’alienista, che ha un conto aperto con il crimine e in particolare con la delinquenza seriale. Viene affiancato nel suo lavoro dal ritrattista John Moore, da Sara Howard, prima donna dipendente del commissariato della polizia di New York, e dal commissario Roosevelt, si quel Theodore Roosevelt divenuto più in là presidente degli Stati Uniti.
La serie rivela un cast tecnico ed artistico di notevolissimo livello, sfrutta come meglio non poteva l’ambientazione storica, delineandone le contraddizioni, le discriminazioni sessuali, le divisioni sociali di una New York alle prese con le conseguenze della guerra civile, descrivendo il tutto in maniera realistica grazie ai dettagli scenografici vicini alla perfezione.
Daniel Bruhl interpreta magnificamente l’alienista, calandosi perfettamente nella parte dello psicologo che cerca di entrare nei ragionamenti della mente del criminale per carpirne i motivi delle origini delle sue efferate azioni, nel tentativo di anticiparne le mosse per cercare di catturarlo, ma al contempo l’attore è capace di trasmettere ambiguità allo spettatore rivelandoci una quasi sua ammirazione verso una mente disturbata, dimostrandosi quasi affascinato dalla mente dell’assassino.
Sempre brava anche Dakota Fanning tormentata dal suo triste passato e limitata in campo professionale solo perché donna, e notevole anche l’interpretazione di Luke Evans, nella parte di un ritrattista dedito ad una vita più privilegiata, ma molto discutibile, voglioso di emergere moralmente aiutando bambini ad uscire dalla loro vita triste e deplorevole.
Questi tre personaggi vengono caratterizzati alla grande, mentre avrebbero dovuto approfondire meglio Roosevelt (ricco di determinazione, lealtà e sete di giustizia) e la bella Mary Palmer capace di emozionare pur senza dire mai una parola.
E’ proprio in questa approssimazione di alcuni personaggi che scoviamo il vero punto debole della serie così come qualche passaggio della trama sviluppato in maniera non troppo convincente ad influire un po’ negativamente sul prodotto finale che però non intacca più di tanto sul giudizio finale dell’opera che resta sicuramente molto positiva.
Una fotografia cupa e claustrofobica che ben si adatta all’epoca, un’ambientazione spettacolare della New York di allora, i costumi eccezionali, le immagini decadenti del contesto ricchi di dettagli fa dimenticare i punti deboli di una scrittura a tratti sbrigativa e chi ha amato serie tv del tipo Penny Dreadful, The Knick o Peaky Blinders, non può non dare una chance a questo prodotto che viene sicuramente promosso.
VOTO 7
Paolo Condurro